Ordinanza n. 162 del 1989

 CONSULTA ONLINE 

 

 

ORDINANZA N.162

ANNO 1989

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 254 del testo unico legge comunale e provinciale approvato con regio decreto del 3 marzo 1934, n. 383 (Approvazione del testo unico della legge comunale e provinciale), promosso con ordinanza emessa il 5 maggio 1987 dalla Corte dei conti nel giudizio di responsabilità promosso dal Procuratore Generale a carico di De Santis Franco Saverio ed altri, iscritta al n. 465 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 1988.

Udito nella camera di consiglio del 22 febbraio 1989 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello.

Ritenuto che nel corso di un giudizio avente ad oggetto la responsabilità di alcuni amministratori comunali per il danno causato all'ente dalla mancata e ritardata acquisizione dell'imposta sulla pubblicità e dei diritti sulle pubbliche affissioni, la Corte dei conti, con ordinanza in data 5 maggio 1987, pervenuta il 2 settembre 1988, (r.o. n. 465 del 1988), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 254 regio decreto 3 marzo 1934, n. 383 (Approvazione del testo unico della legge comunale e provinciale) in riferimento agli artt. 3, 24, 28, 97 e 103 della Costituzione;

che la norma impugnata viene censurata nella parte in cui assoggetta alla giurisdizione contabile - per i danni inerenti all'applicazione e riscossione di tributi e di entrate regolarmente deliberate- soltanto gli amministratori degli enti locali e non anche gli impiegati che abbiano determinato, o concorso a determinare, con uguale condotta negligente lo stesso tipo di danno;

che tale limitazione, ad avviso del giudice a quo si porrebbe in contrasto:

a) con l'art. 3 della Costituzione, per l’ingiustificata disparità di trattamento che, per un medesimo fatto illecito, si verrebbe a creare tra amministratori e dipendenti di uno stesso ente locale, attesa la diversità, non puramente procedurale, dei regimi di accertamento delle relative responsabilità (grado di colpa, termini prescrizionali, iniziativa dell'azione, potere riduttivo);

b) con l'art. 28 della Costituzione, violando il principio della responsabilità dei funzionari e dipendenti pubblici che non consentirebbe sostanziali diseguaglianze di trattamento per gli autori di uno stesso illecito;

c) con l'art. 24 della Costituzione, limitando il diritto di difesa degli amministratori che non possono invocare in giudizio il fatto del dipendente, chiedendo l'integrazione del contraddittorio nell'ambito di un unico processo accertativo (si lamenta peraltro l'impossibilita di un'esatta applicazione, da parte del giudice contabile, della regola di ripartizione dell'addebito, prevista dall'art. 82, comma secondo, regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440);

d) con l'art. 97 della Costituzione, in quanto la diversità di regole sostanziali e di sedi processuali violerebbe il principio di buon andamento, l'esigenza di determinare adeguatamente le responsabilità dei funzionari, nonché il principio di imparzialità, in relazione alle determinazioni che l'ente danneggiato dovrà assumere nei confronti degli impiegati responsabili;

e) con l'art. 103 della Costituzione, il quale imporrebbe che, quanto meno nella stessa materia, non venga operata una ripartizione di giurisdizione tra giudici diversi, dovendosi accertare le singole responsabilità nell'ambito di un unico pro cesso, nel quale sia possibile fissare anche i limiti di somma cui ognuno e chiamato a rispondere;

che non si sono costituite le parti, ne ha spiegato intervento l'Avvocatura generale dello Stato.

Considerato che questa Corte con sentenza n. 411 del 1988 ha dichiarato l'inammissibilità e successivamente, con le ordinanze nn. 549 e 794 del 1988, la manifesta inammissibilità di questioni identiche a quella ora sollevata, con motivazioni che coinvolgono tutte le argomentazioni svolte a sostegno della presente ordinanza di rimessione;

che il giudice a quo non deduce profili nuovi o diversi, tali da indurre questa Corte ad una modifica del proprio orientamento;

che la proposta questione deve essere pertanto dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 254 del regio decreto 3 marzo 1934, n. 383 (Approvazione del testo unico della legge comunale e provinciale), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 28, 97 e 103 della Costituzione, dalla Corte dei conti con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 08/03/89.

 

Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA- Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI.

 

Depositata in cancelleria il 21/03/89.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Vincenzo CAIANIELLO, REDATTORE